Carronesi nel mondo: storie di emigranti

In Francia per lavorare in miniera e poi tornare in paese

Mio bisnonno Domenico Vassia (“Minot Peroclara”, morto nel 1956 a 96 anni), emigrò per 12 anni in Francia, dalla fine dell’800 agli inizi del ‘900.

Domenico partì da Carrone per andare a lavorare in una miniera di carbone ad Aubagne, a nord di Marsiglia, portandosi dietro anche il figlio Pietro allora quattordicenne (1887-1973); Pietro tornò in Italia per fare il militare a 21 anni.

In quella stessa miniera lavorarono una trentina di altri carrone

si: alcuni dei quali rimasero solo il tempo necessario per mettere da parte i soldi e pagarsi il viaggio per andare in America, altri si sposarono sul posto e non tornarono più a Carrone, altri ancora con i soldi guadagnati ritornarono a casa e si comprarono la casa e un pezzo di terra da lavorare.

Mio bisnonno Domenico era addetto alla macchina a vapore che forniva tutta la forza motrice alla miniera. Il nonno Pietro mi diceva che lui invece era addetto al lavaggio del carbone e quindi non lavorava sotto terra ma in superficie. Il pozzo della miniera era profondo 900 metri e dal pozzo di entrata si dovevano percorrere circa 8 chilometri per andare nelle gallerie dove si scavava il carbone. Il materiale scavato veniva caricato su

i vagoncini che erano trainati da cavalli e portato agli ascensori che lo portavano in superficie. Ad un certo punto la distanza tra la zona di scavo e il pozzo di risalita venne ad essere troppo grande e allora fu scavato un nuovo pozzo nella zona della “Buiadiscia”.

Quando Domenico rientrò in Italia, andò a lavorare al Lanificio Azario al Tebio, in un primo tempo come addetto alla macchina a vapore, come quando era in Francia.

Claudio Actis Alesina
In Argentina, per sfuggire alla fame e alla povertà

Il mio bisnonno, Domenico Vassia, nacque il 2 aprile 1879 nel paesino di Carrone, frazione di Candia Canavese, in Piemonte (terra del Barolo, dei tartufi e della bagna cauda).L’anno 1893, in Italia, era caratterizzato da una grave siccità, pochi soldi e un sacco di miseria. Il padre di Domenico prese una decisione drastica e decise di mandare in America due dei suoi sette figli, con un amico, per mandarli il più lontano possibile da fame e povertà.La sera prima della partenza mangiarono in silenzio, come sempre, la stessa minestra di patate e cipolle, cucinata con la stessa acqua che sa di fango.Quando i due ragazzi partirono le sorelle li baciarono, una su ogni guancia, il padre gli strinse la mano (che è una cosa da uomini); Domenico ha quattordici anni, quando lui e suo fratello cominciarono il viaggio, lasciandosi alle spalle la loro vita e pensando che non torneranno mai più. Era l’anno 1893, quando i due fratelli si trovarono a soffrire per la partenza e lo sradicamento, per andare in un luogo dove migl

iaia di chilometri li separavano dalla sua famiglia. I due ragazzi partirono per l’America ma i loro genitori e fratelli rimasero a Carrone, così come le poche cose che possedevano, che erano tutto per loro.Quando salirono sulla nave, in poco tempo le luci della costa di Genova si persero in lonta

nanza; il vento gelido colpiva le onde, strappando schiaffi di schiuma. I due fratelli urlarono e gridarono tutta la notte, finché la voce si esaurì, continuarono a piangere fino a quando le lacrime gli finirono. Poi, quando le lacrime finirono, continuarono a sentire il dolore, fino a quando cessò soltanto la capacità di sentirlo, ma non cessò il dolore. E solo allora scesero nella stiva e si sistemarono tra i bagagli per provare a dormire.Per Domenico e suo fratello, come per migliaia di persone, l’arrivo in Argentina si svolge in solitudine in un paese sconosciuto.

In dogana si ritrovano stipati in corridoi sporchi, in stanze spoglie, in attesa con i loro fagotti. Ma se ci si avvicina, sopra al lezzo di panni sporchi e di corpi stanchi dal viaggio, si può sentire il loro cuore, il cuore che prega una preghiera senza parole, cercando di toccare le menti di questi uomini su sedie di legno, uomini dall’aria grave che quasi non guardano le persone, ma guardano a lungo i loro documenti.Il ricovero degli immigrati è la prima casa dei due fratelli, con una camerata con lettino come mini-abitazione. Domenico si distende sul materasso, chiude gli occhi e sogna di essere nella sua casa lontana, nella sua campagna lontana, nell’Italia lontana.

Gli viene in mente che da qualche parte, in questo momento anche suo padre sta tornando a casa, stanco del suo lavoro. Ricorda che sua madre diceva che quella è la cosa migliore che può succedere, cioè tornare a casa dopo aver lavorato; allora capisce che, a suo modo, ha già un futuro, un futuro infinitamente migliore più di quello che poteva avere appena sceso da quella nave. E così propone per sé, per i suoi figli che verranno, per i figli dei suoi figli e per tutte le future generazioni di Vassia, di “lavorare”, perché alla fine dei conti siamo noi gli unici in grado di costruire il nostro mondo; scrive una frase su un cartello che accompagnerà lui e i suoi figli, che dice così “il tempo è oro”.

Grazie a lui e a tutti gli italiani che hanno popolato questo paese, l’Argentina, noi discendenti possiamo essere orgogliosi di ciò che siamo e che nelle nostre vene continua a scorrere il sangue dei nostri antenati e il loro grido di fratellanza.

Juan Manuel Vassia (Cordoba, Argentina)

 

Nel 2012 Juan Manuel Vassia (nato nel 1981 a Ordonez, nella provincia di Cordoba) ha lavorato per diversi mesi a Genova e da lì si è recato spesso a Carrone a trovare i parenti. In una di queste visite era accompagnato dai genitori, mentre nell’ultima visita, prima del rientro definitivo in Argentina, era accompagnato dalla moglie e dal figlio. In questa occasione ha avuto un incontro con il sindaco di Strambino per avviare iniziative di amicizia con il comune di Ordonez, che ha numerosi abitanti di origine canavesana, in particolare proprio della zona di Strambino.

Ecco la foto ricordo dell’incontro:

 

 

Negli Stati Uniti per mantenere la cittadinanza e poi restare

Nostro nonno Giuseppe Grassino (“Gianet”) venne in America alla fine degli anni ’20 a lavorare nelle miniere di carbone in West Virginia insieme a sua moglie Maria Grassino (“Bas”) e al loro primo figlio Rinaldo, nato nel 1926. In quel periodo, precisamente nel 1930, nacque negli Stati Uniti il loro secondo figlio Roberto, nostro padre.

Al nonno non piaceva il lavoro in miniera e dopo qualche anno, quando nostro padre era ancora un bambino, ritornò a Carrone e non tornò mai più in America. Invece Roberto, nel 1947, a 17 anni, anche per non perdere la cittadinanza americana, decise di tornare negli Stati Uniti, sempre in West Virginia, presso dei parenti, anche loro originari di Carrone. Dopo alcuni anni si trasferì a Chicago e nel 1974 andò a vivere a Frontenac, nel Kansas.

Nel 1950 Roberto sposò nostra madre, Jean Caterine Ala (anche lei di origini piemontesi). Roberto tornava ogni tanto in Italia per far visita alla madre e al fratello, e anche noi, dopo la morte dei nostri genitori, abbiamo mantenuto il legame con i parenti piemontesi.

Dean e Robert Grassino (USA)