L’allevamento dei bachi da seta

Nell’economia del Canavese una realtà importante fu l’allevamento dei bachi da seta. A Carrone in passato era molto diffuso e quasi tutte le famiglie arrotondavano i guadagni con la vendita ai setifici dei bozzoli prodotti allevando i bachi (“bighet”), almeno sino alla fine degli anni ’30. Qualcuno continuò ancora questa attività durante la seconda guerra mondiale, dopo la quale tale pratica andò in disuso.

Chi allevava i bachi acquistava a fine aprile le uova del “Bombyx mori” ad once (ogni oncia corrispondeva a circa un quintale di seta), ma c’era anche chi se le faceva in casa, lasciando uscire dal bozzolo qualche farfalla che dopo pochi giorni, prima di morire, deponeva le uova. Le uova avevano l’aspetto di una polverina nera e venivano tenute in incubazione in un luogo caldo, addirittura alcune donne di Carrone, dopo averli messi in un sacchettino di tela, se lo appendevano al collo (si diceva: “as butan an saign par faie sciodar”, “si mettono in seno per farle schiudere”).

Appena nate, le larve venivano collocate su tavoli rettangolari con sopra dei graticci di canne (“stagere”) ricoperti di foglie di gelso sminuzzate, in genere sistemati nel granaio o in altre stanze della casa, ben esposte al sole e arieggiate.

L’allevamento durava una quarantina di giorni. Le foglie di gelso erano l’unico nutrimento dei bachi che le mangiavano voracemente, dapprima sminuzzate e poi intere, ma sempre fresche e asciutte (chi ha avuto esperienza in merito si ricorda il rumore caratteristico e assordante delle centinaia di bachi che “masticano” le foglie, ma anche l’odore sgradevole che emanavano, specialmente durante le mute). In genere spettava alle donne ripulire frequentemente i giacigli, mentre erano gli uomini a procurare la “feuia”, cioè le foglie del gelso.

Proprio perchè erano l’unico nutrimento dei bachi, parallelamente al loro allevamento, si sviluppò la coltivazione dei gelsi, posti in filari, spesso ai confini dei campi, che per anni hanno costituito un elemento caratteristico del paesaggio campestre.


Filari di gelsi e foglie di gelso bianco (Morus alba)
La vita del baco è caratterizzata da quattro mute, una ogni 6-7 giorni, chiamate anche “dormite” perchè la larva non si ciba e rimane immobile per un giorno, fino al cambio della pelle. La quarta “dormita” è la più lunga di tutte e da questo fatto deriva il modo di dire “dormire della quarta” per indicare un sonno lungo e profondo. Dopo l’ultima muta il bruco bianco è lungo 7-8 centimetri, ha una fame vorace e deve essere continuamente alimentato. A questo punto si incominciano a predisporre ai bordi delle tavole dei fascetti di saggina (detti “il bosco”), sui quali i bachi salgono per poi avvolgersi nei bozzoli di filo finissimo di seta, che può misurare anche più di 1000 metri, prodotto dalle ghiandole poste ai lati della bocca.

Verso la fine di giugno, dopo circa 8 giorni dalla salita al “bosco”, i bozzoli erano formati e venivano tolti dai rami, a mano, uno ad uno e poi sistemati in sacchi di juta. I sacchi venivano portati a Caluso dove i bozzoli venivano “lavorati”, oppure venivano radunati presso la cascina di Baro, che poi provvedeva a portarli tutti insieme al setificio, prima che la farfalla bucasse il bozzolo rompendo e rovinando il filo di seta.


Alcune fasi della vita del Bombyx mori: baco adulto, bozzolo, farfalla
A Carrone subito dopo la guerra, quando ormai la pratica della bachicoltura era stata abbandonata, la maestra Lina Autero (nata a Carrone) aveva impiantato un piccolo allevamento di bachi da seta al primo piano della scuola elementare a scopo didattico, con le apposite “stagere”, dando ai ragazzi di quinta il compito di raccogliere le foglie di gelso e accudire i bachi.

Claudio Actis Alesina e Maria Carolina Grassino