Il lavoro dei carronesi dai campi alla fabbrica

Il passaggio della società da agricola ad industriale è stato uno degli aspetti che hanno caratterizzato l’Italia a partire dalla fine del 1800.

In Piemonte il fenomeno ha portato allo spopolamento e all’abbandono della terra in montagna e al passaggio graduale da un’economia basata sull’agricoltura ad una di tipo industriale in pianura. Nel basso Canavese, e quindi anche a Carrone, la popolazione ha vissuto le varie fasi di questo passaggio.

Già negli anni tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900, il lavoro nei campi non era l’unica fonte di sostentamento dei carronesi: molti uomini e donne seguivano i flussi delle migrazioni stagionali, andavano nel vercellese per la monda e il taglio del riso, oppure in Francia per lavorare nelle filande (anche in questo caso il lavoro era stagionale perchè legato alla produzione dei bozzoli di seta), oppure ancora in America (dove lavoravano alcuni anni, soprattutto in miniera, per poi tornare in paese).

A partire dagli anni ’20/30 del 1900 sono iniziati anche gli spostamenti (temporanei o in certi casi definitivi) verso Torino: alcune donne andarono a lavorare come domestiche e diversi uomini nelle grandi fabbriche o officine del capoluogo.

Ma anche chi restava in paese, oltre che fare il contadino, svolgeva altri

lavori per arrotondare i guadagni sempre insufficienti.

Una fonte di ricavo per molte famiglie è stato l’ allevamento dei bachi da seta diffuso a Carrone fino all’inizio degli anni ’40.

Un altro lavoro abbastanza comune era fare i “bùsc”, ossia la parte in legno delle ciabatte e delle zoccole. Almeno 6 carronesi nei primi decenni del 1900 si dedicarono a questa attività, in particolare una delle famiglie Grassino era specializzata nella fabbricazione di ciabatte, zoccole e “ciabot” che poi andava a vendere nei mercati.

Molti erano poi gli uomini che si offrivano per fare i lavori a “giornata”, sia in campagna (ad esempio nel corso della trebbiatura) sia come manovali.

C’era anche chi, sempre in aggiunta al lavoro nei campi, faceva il “cartunè”, cioè effettuava trasporti con carro (“cartun”) e cavallo su commissione.

Uno dei trasporti abituali era quello autunnale delle “bunze”, ossia dei tini, per andare in Monferrato a caricare il vino o le uve (per chi poi si faceva il vino in proprio). Si andava a Murisengo perchè da lì veniva il mediatore che arrivava a Carrone in bicicletta, di solito la domenica verso mezzogiorno, si fermava a pranzo presso la “cantina Borgo Nuovo”, poi prendeva le ordinazioni e nel pomeriggio rientrava al suo paese. Qualche giorno dopo i “cartunè” andavano a Murisengo a caricare uva e vino: partivano di pomeriggio e alla sera facevano tappa a Chivasso in un alberg

o che aveva anche lo stallaggio per i cavalli, poi la mattina successiva arrivavano a Murisengo, caricavano la merce e alla sera erano di nuovo a Chivasso per dormire. Ripartivano il giorno dopo, di buon’ora, per tornare a Carrone. I cavalli erano talmente abituati a questa strada che quasi andavano da soli, mentre i cartunè si coricavano sui carri e sonnecchiavano.

Un tipico “cartun” riprodotto fedelmente in scala 1:10

A partire dal 1919 la famiglia Baro, abitante a Carrone ma originaria di Vische, aprì a Strambino una segheria, che è in funzione ancora oggi, dove andarono a lavorare molti carronesi. Alcune attività della seghe

ria si svolgevano a Carrone e i cavalli usati per il trasporto dei tronchi avevano le scuderie nella cascina di Baro, in via San Grato davanti alla chiesa. C’erano poi diversi uomini del paese che lavoravano per la segheria solo stagionalmente (in autunno/inverno) come abbattitori di pioppi, il cui legname veniva poi lavorato per realizzare assi.

Uomini al lavoro nella scuderia e come abbattitori di alberi, intorno alla metà degli anni ’30

La segheria Baro negli anni ’30 e oggi
 

In quegli anni (e fino alla fine degli anni’50-inizio ’60) esisteva anche una piccola impresa edile di proprietà dei cugini Crosio, che svolgeva lavori di ristrutturazione e anche di costruzione di nuove case in paese.

 

Una casa ristrutturata da uno dei cugini Crosio (a sinistra nella prima foto) all’inizio degli anni ’50
 

Bisogna ricordare anche che alcuni carronesi lavoravano nei vari esercizi commerciali del paese e non mancavano degli artigiani come mugnaio, sarto, fabbro (“sarun”) e falegname (si ricordano due falegnami della famiglia Robino, che avevano costruito i banchi nuovi per la chiesa nel 1938 e facevano anche le casse da morto quando moriva qualcuno. C’erano poi impiegati statali come il postino e la maestra.

Dopo la seconda guerra mondiale, sempre più carronesi andarono a lavorare presso attività industriali del territorio: i due Lanifici Azario (uno a Strambino e l’altro in località Tebio, tra Realizio e Crotte), il Cotonificio di Strambino (poi diventato Cotonificio Valle Susa ), altre attività come la fonderia Fospal , due fornaci e molte piccole realtà artigiane che in totale occupavano un migliaio di lavoratori della zona tra gli anni ’50 e ’60.

Alla fine degli anni ’50 molti giovani che lavoravano in quelle attività si licenziarono per andare a lavorare all’Olivetti (negli stabilimenti di Scarmagno e di Ivrea), che in quel periodo assumeva ad un ritmo di 20 o 30 persone al giorno ed è stata una realtà fondamentale per lo sviluppo industriale di tutto il Canavese.


L’Olivetti di Scarmagno: gli stabilimenti e il reparto di montaggio delle calcolatrici elettroniche negli anni ’70

In tutte queste industrie del territorio lavoravano uomini e donne di Carrone, che facevano prevalentemente gli operai svolgendo i turni (anche di notte) e che riuscivano a conciliare il lavoro in fabbrica con quello nei campi. Nell’ultimo dopoguerra, per raggiungere il posto di lavoro si andava a piedi, per distanze brevi, oppure in bicicletta; solo negli anni successivi si è cominciato a usare moto o motorini, e più tardi ancora l’automobile.

Dagli anni ’50 agli anni ’70 alcune donne del paese hanno svolto lavori “a domicilio”, in particolare:

– dai primi anni ’50 una donna del paese faceva la magliaia in casa per terzi, con una macchina per maglieria; questa attività è stata svolta anche da un’altra carronese tra gli anni ’60 e ’70.

– negli anni ’60 si rammendavano le pezze fallate per la Litex (uno dei lanifici della famiglia Azario), che probabilmente in quegli anni aveva la convenienza a dare il lavoro a casa piuttosto che ad assumere. Le pezze venivano fatte scorrere su dei rulli per individuare le imperfezioni, poi posizionate su banchi inclinati e qui, dove c’erano errori di tessitura, venivano rifatti a mano (con l’ago) la trama e l’ordito del tessuto, spesso usando lenti di ingrandimento perchè i tessuti erano molto fini.

– negli anni ’70 invece si facevano in casa assemblaggi di penne o pennarelli, oppure altri piccoli lavori su commissione (si infilava il filo nelle etichette per i vestiti, si inscatolavano piccoli oggetti).

Un’altra realtà industriale, nata a Carrone negli anni ’70, che ha dato lavoro a diversi carronesi, soprattutto donne, è stata ed è tutt’ora la “Legatoria Cartotecnica Ferrero”.

La Legatoria Cartotecnica Ferrero in due immagini recenti

Sempre in quegli anni sparì la mezzadria (il contratto agrario con il quale il proprietario dei terreni e il contadino che li coltiva, chiamato mezzadro, si dividono i prodotti e gli utili). Infatti una legge del 1964 vietò di stipulare nuovi contratti di mezzadria a partire dal 1974 e impose di convertire quelli esistenti in contratti di affitto a partire dal 1982.

Anche a Carrone, come in tutto il territorio nazionale, un tempo c’erano contratti di mezzadria, in particolare in due cascine, una delle quali di proprietà dei conti Birago di Vische, vendute poi a privati. A memoria dei carronesi viventi, diverse famiglie provenienti da zone limitrofe (ma anche da altre parti del Piemonte) hanno lavorato come mezzadri (“masuè”) nelle cascine “Baro” e “Bellono”. Alcune di queste famiglie, finito il loro contratto da mezzadri, nel corso degli anni si sono stabilite a Carrone affittando o acquistando abitazioni in paese.

Nonostante tutti questi cambiamenti e la trasformazione della società, la campagna a Carrone non è mai stata completamente abbandonata perchè, parallelamente al lavoro nel settore secondario o terziario, la maggior parte dei carronesi (fino alla generazione nata tra gli anni ’40 e ’50) ha continuato e continua a coltivare la terra nei campi ereditati dai genitori o dai nonni contadini.

Il paesaggio agricolo nel corso degli anni è però mutato: non ci sono più prati falciabili perchè non ci sono più animali nelle stalle o nei cortili, non ci sono più piante di gelso perchè non c’è più l’allevamento del baco da seta, non ci sono più filari di salici lungo i bordi delle strade perchè non servono più i suoi rami flessuosi per legare le pannocchie e metterle a seccare sulle balconate.

Pannocchie legate e messe a seccare nella prima metà degli anni ’40 e galline allevate in cortile nei primi anni ’50

Oggi i campi sono coltivati prevalentemente a mais, grano, soia oppure sono diventati “piantagioni” di alberi da taglio (principalmente pioppi e acacie). Restano lungo i sentieri di campagna alcuni alberi solitari: noci (un tempo venivano mangiati i frutti e il legno veniva usato per costruire mobili: quando nasceva un figlio si piantava una pianta di noce così quando si sposava aveva il legno per farsi fare il guardaroba) e querce (che davano le ghiande per i mailai, così si risparmiava la farina, e il legname da costruzione). Questi alberi avevano anche un’altra funzione: quando si lavoravano i campi con le mucche o i cavalli c’era bisogno di ombra per far riposare gli animali e anche gli uomini e a volte, quando non si riusciva a tornare a casa per pranzo, si consumava il pasto all’ombra di questi alberi.

La borraccia impagliata che si portava in campagna per bere

Un tempo poi tutti i prodotti del lavoro della terra restavano e venivano utilizzati a Carrone.

Oggi la situazione è cambiata: il grano e il mais non sono più utilizzati in proprio come un tempo, quando dopo la macinazione nei mulini della zona (in particolare quello di “Rivoc” ) si utilizzavano la farina per il pane o per la polenta e la crusca e la granella per alimentare gli animali. La legna dei boschi, utilizzata da tutti come legna da ardere per riscaldamento, oggi viene venduta e solo pochi la utilizzano per i putagè in cucina come integrazione del riscaldamento degli impianti di termosifoni. Anche la carne consumata in paese era un tempo quasi esclusivamente quella che veniva dai cortili (conigli, maiali, anatre, e galline, che davano anche le uova), mentre oggi solo poche famiglie allevano ancora questo tipo di animali. In passato poi erano molto diffusi la coltivazione e il consumo dei fagioli, che venivano seminati lungo i filari del mais (non diserbati chimicamente) in modo che i fusti del granturco diventassero il loro sostegno. Molti si facevano il vino, acquistando le uve in Monferrato, oppure coltivandole in proprio in piccoli vigneti, che ora sono scomparsi. Oggi sono ancora diffuse soltanto l’orticoltura e la coltivazione di qualche albero da frutta per uso familiare.

Un vigneto a Carrone tra gli anni ’30 e ’40

Claudio Actis Alesina e Maria Carolina Grassino